«Protestiamo perché il mondo si accorga di quello che accade oggi nelle carceri israeliane», mi spiega Bassem. Vestito bene, una cartellina sottobraccio, una laurea in diritto internazionale all’Università di Betlemme. Bassem non è l’ultimo arrivato, insomma. Una domenica normale, questa, per la sua città: il suq si riempie di gente, qualche gruppo di pellegrini che si avvicina alla Basilica della Natività, il muezzin scandisce le ore. Nel frattempo, a qualche chilometro, la città di Gerusalemme (Ovest) si sveglia nel frastuono. È il primo maggio, la Festa dell’Indipendenza di Israele, e le bandiere sventolano ovunque lungo la via principale. Bassem, lui che per passare il checkpoint 300 tra Betlemme e Gerusalemme ha bisogno di un permesso, non ne sa niente.

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